giovedì 28 marzo 2024

"La poesia e l'utopia di restare umani": 10 aprile presso sede "Testimonianze" - Presentazione Antologia "Amo le parole. Poesie 2017-23",


 



L’utopia di restare umani

Hannah-Arendt

Hannah Arendt

L'utopia di restare umani 

Dico subito, per favorire la chiarezza, che la mia tesi consisterà nel sostenere che il luogo di realizzazione dell’utopia non deve essere ricercato più fuori di noi, come avveniva con le vecchie utopie, bensì dentro di noi, nella nostra interiorità, l’unico luogo dove talora si può intravedere l’isola che non c’è e che nell’immenso mare dell’essere non ci sarà mai. Voi direte: vedere qualcosa che non c’è? Non è follia? Forse, ma di quella follia di cui Erasmo da Rotterdam fece l’elogio e che costituisce precisamente la disposizione della mente chiamata utopia.   
Utopia letteralmente significa “non luogo”. Per capirne il concetto occorre distinguere idea da ideale, differenza che consiste nel fatto che l’ideale è un’idea + energia, e quindi motiva l’azione. Voi potete incontrare chi ha molte idee e nessun ideale: l’ascoltate, l’ammirate, ma rimanete freddi. Viceversa potete incontrare chi ha idee con valenza ideale e quando l’ascoltate sentite affluire calore vitale e dentro qualcosa si muove. Ebbene, l’utopia è un ideale, un’idea dotata di energia. Io la definisco “idea emotiva”, nel senso letterale del termine emozione, dal latino emoveo, “mettere in moto”. Più precisamente, l’utopia è l’ideale coltivato da chi non si fa bloccare dallo status quo. È chiaro: bisogna guardare in faccia la realtà, tuttavia chi coltiva l’utopia non si rassegna a spegnere la sua luce interiore scambiando per illusione la tensione verso il bene e la giustizia. Anzi, a partire da alcuni giusti in cui ha visto realizzarsi questa tensione, l’utopista sente che la vita vera è quella rispecchiata da queste poche persone luminose, e non quella dell’esistenza grigia dei più. Come dichiarò un giorno Eraclito: “Uno solo vale per me diecimila, se è il migliore” (DK 22 B 49) …L’utopista sa altrettanto bene però che il trasferimento di quella luce sulla totalità del reale non è possibile e che quindi il suo ideale non giungerà mai a risplendere completamente in un luogo concreto ma rimarrà sempre “senza luogo”, ou topos, utopico; sempre necessariamente “aldilà dell’essere”, come indicò Platone, tra i primi e più grandi utopisti. L’essere non sarà mai la piena realizzazione del bene. E se anche un giorno potesse pervenirvi, il prezzo pagato sarebbe comunque troppo alto, perché nessuna realizzazione storica giustifica il mare di sangue versato dalla natura e dalla storia.Tuttavia l’utopista sente che il fatto che l’ideale non possa avere piena realizzazione non lo rende un’illusione. Sente che la realtà più vera è data da ciò che non si vede e non si potrà mai vedere, ma di cui egli non può fare a meno. Come scriveva Oscar Wilde: “Una carta geografica che non comprenda l’isola di Utopia non merita nemmeno uno sguardo, perché escluderebbe l’unico paese al quale l’Umanità approda in continuazione” (L’anima dell’uomo sotto il socialismo, in Opere, p. 1177).C’è qui una perfetta dialettica: l’utopia in quanto non-luogo non sarà mai sulla carta geografica del mondo; e tuttavia, se la carta in qualche modo non la comprendesse sarebbe un fallimento, perché tutti gli esseri umani degni di questo nome ricercano quest’isola e quando danno il meglio di sé vi approdano. Il che significa che l’essere umano può essere diverso dal mondo. Il che significa che noi, se coltiviamo l’ideale del bene e della giustizia, siamo più grandi del mondo. Il che significa che la meta di ognuno di noi è oltre il mondo. Esattamente come scrisse Wittgenstein: “La soluzione dell’enigma della vita nello spazio e nel tempo è aldilà dello spazio del tempo” (Tractatus logico-philosophicus 6.4312). Ritenere che la nostra vita sia un enigma, che possa avere una soluzione, e che questa però sia solo aldilà dello spazio e del tempo: questa è, genuinamente intesa, l’utopia.Ma qual è la “nuova” utopia per l’Occidente? Temo che stiamo vivendo giorni dei quali in futuro si parlerà riprendendo un celebre titolo di Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo. Si legge in quest’opera: “Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione tra realtà e finzione, tra vero e falso, non esiste più” (Le origini del totalitarismo, p. 649). Non riconoscere più la distinzione basilare tra realtà e finzione; scambiare la realtà per fiction e la fiction per la più vera realtà; essere del tutto sconnessi con il reale e del tutto immersi nel virtuale: ecco le condizioni ottimali per il totalitarismo.Hannah Arendt scrisse anche queste altre parole, oggi di un’attualità sconcertante: “Noi che abbiamo fatto esperienza delle organizzazioni totalitarie di massa possiamo affermare che il loro primo interesse è eliminare qualunque possibilità di solitudine… Non solo le forme secolari di coscienza, ma anche quelle religiose vengono eliminate quando non è più garantito lo stare un po’ soli con se stessi… Un essere umano non può mantenere intatta la propria coscienza se non può mettere in atto il dialogo con se stesso, cioè se perde la possibilità della solitudine, necessaria per ogni forma di pensiero” (Socrate, pp. 46-47).  Oggi in Occidente, anche se non ci sono più organizzazioni totalitarie di massa, la coscienza corre un grande pericolo perché è minacciata nella condizione necessaria del suo esercizio, cioè la solitudine in quanto raccoglimento e silenzio interiore. Senza silenzio interiore, nessun ascolto reale; senza ascolto, nessun pensiero creativo; senza pensiero creativo, nessuna coscienza; e senza coscienza è la fine dell’umanità. È solo grazie al silenzio interiore che la mente genera coscienza e umanità, ma oggi è proprio il silenzio interiore a essere in pericolo. In queste condizioni qual è la nuova utopia per l’Occidente?La nuova utopia è minimale, il suo nome è antico, si chiama umanità. Umanità ha due significati assai diversi tra loro: l’insieme degli esseri umani, la loro natura più autentica. Io l’assumo nel secondo significato sostenendo che la nostra vera natura si compie come libera intelligenza che sceglie il bene agendo così in modo, appunto, umano. La nuova utopia consiste nel ritenere che, di fronte all’immenso potere della tecnologia e alla possibilità che essa modifichi il nostro corpo e la nostra mente per una metamorfosi dell’umanità nella direzione di una sconosciuta postumanità, l’umanità, in quanto intelligenza libera e buona, sarà conservata. Le vecchie utopie miravano a cambiare il mondo, la nuova utopia mira molto più modestamente a non farsi cambiare dal mondo e a custodire l’umanità. Ricordo le celebri parole di Dante: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Né bruti né macchine: la nuova minimale utopia crede che rimarremo umani, desiderosi di coltivare la nostra essenza nell’esercizio della conoscenza e della virtù. È un pensiero realistico? A giudicare da molti segnali no, e infatti è un’utopia, una terra che sulla carta geografica del mondo non c’è. Ma “una carta geografica che non comprenda l’isola di Utopia non merita nemmeno uno sguardo”, ed è per questo che invito tutti noi a ragionare con il cuore coltivando l’idea emotiva di questa nuova, in realtà antichissima, utopia.

Vito Mancuso, La Stampa 30 giugno 2022

Roberto Mosi, “Amo le parole. Poesie 2017-2023”, Ladolfi Editore, Borgomanero. Prefazione Carmelo Consoli. Postfazione Giuliano Ladolfi

 

Commento di Giuliano Ladolfi dalla Posfazione al libro

«La poesia prende il posto / dei sogni»

 

Penso che la concezione poetica di Roberto Mosi sia chiarita dal seguente passo compreso in questa antologia: «Credo che sia possibile curarsi con la

poesia, per vincere le paure, stati di sofferenza, per stringere sogni che passano in volo, per divertirsi. La voce della poesia arriva dal dentro, potente nelle ore della notte, debole e distratta il giorno. Porta sollievo,

se non guarigione, dolcezza di ricordi, sapori tenui di malinconia»... eratoterapia, senza dubbio. Bastano queste righe per depositare nel bidone dei rifiuti tutte le concezioni avanguardistiche e neoavanguardistiche.

Il poeta, infatti, assegna la scrittura in versi alla dimensione umana e non a quella puramente intellettuale o linguistica.

Il titolo di questa pubblicazione, che raccoglie testi editi da 2017 al 2023, costituisce un’ulteriore conferma: Amo le parole. E non si può amare senza collocare questo sentimento nell’intimità dell’essere umano. Si ama quando tra l’individuo e l’altro-da sé scocca una scintilla destinata a incendiare il

mondo. E ciò può avvenire con ogni tipo di realtà, che in questo caso si identifica con l’esistente, l’esistente che entra in empatia con il poeta.

Le parole poetiche per lui non sono flatus vocis, ma dichiarazioni d’amore che trasformano chi le pronuncia e chi le legge. Non si gioca sui significati

quando il sentimento ha il sopravvento. E questo sentimento è contagioso perché non permette al lettore di essere indifferente di fronte alla bellezza di Firenze, alla sua storia, alla sua arte, ai suoi colori, alle sue vie, ai suoi palazzi. Anche chi la conosce trova in questi versi nuovi occhi per contemplarla non con lo sguardo dello studioso o del turista, ma con l’entusiasmo di chi la ama come si ama una madre amorevole e affettuosa.

E poi il sentimento si espande al mondo intero, anche a situazioni dolorose, come la guerra o come la devastazione climatica. Se «la poesia prende il posto / dei sogni», è fondamentale che a tutti sia concesso di sognare tramite

quest’arte, a tutti sia concesso di ritrovare in essa l’impulso ad approfondire quel senso dell’esistere che Roberto Mosi propone come un’avventura meravigliosa e inesauribile.



Il traghetto per Lampedusa*

.

Parte a mezzanotte il traghetto

da Trapani per Lampedusa

il mare dei 305 figli annegati

.

Stabat Mater dolorósa

iuxta crucem lacrimósa,

dum pendébat Fílius.

.

Cerco dalla nave 305 stelle

sul cielo dell’Africa,

le parole della preghiera

.

Vidit suum dulcem natum

moriéntem desolátum,

dum emísit spíritum.

.

Sono sul camion, quindici giorni

da Tamara a Misurata

tempesta di sabbia, violenze

.

Eia, mater, fons amóris,

me sentíre vim dolóris

fac, ut tecum lúgeam.

.

Sono nascosto fra le dune

in attesa del barcone

bagliori lancinanti di speranza

.

Sancta Mater, istud agas,

crucifíxi fige plagas

cordi meo válide.

.

Sono sul barcone carico di esistenze

da Misurata a Lampedusa

odore di nafta, paura, fame

.

Fac me vere tecum pie flere,

Crucifíxo condolére

donec ego víxero.

.

Sono nell’urlo dei disperati

le onde mi sbattono contro il relitto

sprofondo, conquisto la pace.

-

Sul silenzio del mare

il bisbiglio di mille preghiere

l’urlo assordante dei tamburi.

.

* Stabat mater: preghiera del XIII secolo attribuita a Jacopone da

Todi. – “Navicello Etrusco”, Gazebo, Roberto Mosi

 



 


martedì 26 marzo 2024

Il murale di Enrico Guerrini al Parco Fluviale Fabrizio De Andrè, Pontassieve -La poesia per il naufragio a Lampedusa, 2013


Cerimonia per la Giornata dell'Accoglienza - Pontassieve


35.5 Latitudine Nord, 12.6 Longitudine Est

Il traghetto per Lampedusa

Poesia di Roberto Mosi

       


Parte a mezzanotte il traghetto

da Trapani a Lampedusa


il mare dei 305 figli annegati

 

Stabat Mater dolorósa

iuxta crucem lacrimósa,

dum pendébat Fílius.

 

Cerco dalla nave 305 stelle

sul cielo dell’Africa Eritrea

 Etiopia Ghana

le parole della preghiera

 

Vidit suum dulcem natum

moriéntem desolátum,

dum emísit spíritum.

 

Sono sul camion, quindici giorni

da Tamara a Misurata

deserto, tempesta di sabbia, violenze

 

Eia, mater, fons amóris,

me sentíre vim dolóris

fac, ut tecum lúgeam.

 

Sono nascosto fra le dune del mare

in attesa del barcone

bagliori lancinanti di speranza

 

Sancta Mater, istud agas,

crucifíxi fige plagas

cordi meo válide.

 

Sono sul barcone carico di esistenze

da Misurata a  Lampedusa

odore di nafta, di paura, di fame

 

Fac me vere tecum flere,

Crucifíxo condolére

donec ego víxero.

 

Sono nell’urlo dei disperati

le onde mi sbattono contro il relitto

sprofondo nell’acqua, conquisto la pace

 

Iuxta crucem tecum stare,

te libenter sociáre

in planctu desídero

 

Sul silenzio del mare

il bisbiglio di mille preghiere

l’urlo assordante dei tamburi




35.5 Latitudine Nord, 12.6 Longitudine Est

Il traghetto per Lampedusa

Poesia di Roberto Mosi

       


Parte a mezzanotte il traghetto

da Trapani a Lampedusa

il mare dei 305 figli annegati

 

Stabat Mater dolorósa

iuxta crucem lacrimósa,

dum pendébat Fílius.

 

Cerco dalla nave 305 stelle

sul cielo dell’Africa Eritrea

 Etiopia Ghana

le parole della preghiera

 

Vidit suum dulcem natum

moriéntem desolátum,

dum emísit spíritum.

 

Sono sul camion, quindici giorni

da Tamara a Misurata

deserto, tempesta di sabbia, violenze

 

Eia, mater, fons amóris,

me sentíre vim dolóris

fac, ut tecum lúgeam.

 

Sono nascosto fra le dune del mare

in attesa del barcone

bagliori lancinanti di speranza

 

Sancta Mater, istud agas,

crucifíxi fige plagas

cordi meo válide.

 

Sono sul barcone carico di esistenze

da Misurata a  Lampedusa

odore di nafta, di paura, di fame

 

Fac me vere tecum flere,

Crucifíxo condolére

donec ego víxero.

 

Sono nell’urlo dei disperati

le onde mi sbattono contro il relitto

sprofondo nell’acqua, conquisto la pace

 

Iuxta crucem tecum stare,

te libenter sociáre

in planctu desídero

 

Sul silenzio del mare

il bisbiglio di mille preghiere

l’urlo assordante dei tamburi


sabato 16 marzo 2024

Il "prezioso" commento di Sonia Salsi per l'antologia "Amo le parole. Poesie2017-2023" - La figura del poeta-fotografo

 

ROBERTO MOSI,  Amo le parole Poesie 2017-2023,

Ladolfi Editore, Borgomanero, NO, 2023

da Il nostro giardino globale e I nostri giorni

Il commento di Sonia Salsi

 

 " Nelle poesie di Roberto Mosi Immagine e Parola sono l’una il complemento dell’altra, in continuità con il pensiero classico: nella Grecia del VI/V sec a. C “grafein”, significa incidere, graffiare, scolpire, dipingere, scrivere”. Orazio nell’ Ars Poetica mostra le peculiarità  dei due linguaggi, in accostamento paritetico e non prescrittivo.

Il Medioevo privilegia la parola, mentre nel Rinascimento si individuano analogie e contrasti fra Immagine e Parola,  valorizzando   ora l’una ora l’altra.

Ma Leonardo non ha dubbi; nel  Trattato Della pittura,  scrive al capitolo 17:“La Pittura serve al’ occhio (sic), senso più nobile che l’orecchio, obietto della Poesia”. La Pittura ha una compiutezza sincronica, la Poesia è diacronica, scompone l’unità, cioè l’armonia, non rappresenta  la molteplicità  se non in tempi che si susseguono.

Varie le posizioni, finché, nel secolo dei Lumi, Lessing  supera la diatriba  del rapporto, gerarchico o paritetico, individuando le peculiarità semiotiche di ciascuna: la Pittura è in rapporto con lo spazio, la Poesia col tempo.

Ma Baudelaire ribalta tutto: Glorificare il culto delle immagini, mia grande, unica, primitiva passione!”

Il Novecento sottolinea come l’immagine -elemento peculiare del visivo- non sia traducibile  in altri linguaggi, a meno di non perderne lo “statuto”. Ma è irriducibile l’esigenza di leggere il visivo e si giunge ad una sintesi: l’Immagine e la Parola sono complementari, in un concetto di Arte performativa che unisce più linguaggi e, dal loro incontro, ne crea di nuovi.

Marcel Proust sosterrà che “la vera vita è la letteratura”, sottolineando, però, un elemento fondamentale di convergenza fra Parola e Immagine: “Lo stile per lo scrittore, come il colore per il pittore, è questione  non di tecnica, ma di visione”

A maggior ragione vi è complementarietà  quando, come Roberto Mosi, il Poeta è Fotografo e il Fotografo è Poeta e usa il click e il fruscio del pennino sulla carta o il ritmo del tasto del  computer: simbiosi e sintesi di Parola e Immagine, in reciproco disvelamento.

Del resto, le parole  della Poesia  dialogano con lo “spazio” nel bianco della pagina: esse si dispiegano in una spazialità irriducibile, inamovibile, perché strutturalmente collegata al loro riverbero musicale (o  volutamente antimusicale) ed emozionale.

Il Poeta/Fotografo evoca, costruisce immagini-sostanza della Parola e viceversa.

Sapiente è l’uso delle figure “retoriche”, strumentario delle parole immediatamente tradotte in immagini: aggettivazioni, termini tecnici, metafore, correlativi oggettivi… in sintesi visiva, uditiva, emozionale.

E’ difficile trascegliere esempi  tra le poesie di questa raccolta; già il titolo di una delle varie sezioni, Il nostro giardino globale, rimanda, attraverso l’aggettivo “globale”, ad una diffusa sensibilità dell’opinione pubblica, ad una dimensione scientifica e filosofica del problema, che i media sottolineano e sintetizzano tramite immagini.

E  la lirica Giardino globale, col suo ossimoro,  richiama  immagini dell’infinito spazio con termini tecnici (“orbite”, “spazio infinito” ), unite al giardino dell’esperienza ristretta intorno a casa, pulsante di vita minuta. Fino al conclusivo  sincretismo, figurale e verbale, “Terra Giardino”.

 Anche Rondinare, evoca  un sincretismo fra spazio e tempo: spazio abitato dai suoni e rarefatto nel silenzio, fino a farsi memoria del tempo trascorso.  Il titolo ha l’imprevedibilità e l’efficacia di un neologismo.                                                                              

E mentre Il vento ci avvolge in una sensazione uditiva e figurativa,  Dal mare  illustra sincronia e diacronia di passato e di contemporaneità. L’eterno presente del ricordo, perduto nel tempo perduto, resta sempre “qui ed ora” nella rievocazione e si unisce al presente, che si manifesta nella contemporaneità ecologica: “energia prodotta/dal movimento delle onde” potrebbe trovarsi in una relazione tecnica. Immagine immediata ne L’esercito di plastica,  metafora linguistica che, a sua volta dà concretezza alla fisicità della materia, in iperbole visiva.                                                 

Un esempio di titolo di taglio giornalistico è Mobilità verde, che immediatamente evoca istogrammi, grafici, immagini tecniche esplicative.

Spiazzante figurazione politica  in Elogio delle erbacce, con “minoranza apolide” che mette in crisi i nostri spazi interiori, ordinati, razionali, soffocatori di fantasia.

Sullo sfondo dell’ispirazione vi è un elemento fondativo della creatività di Roberto Mosi: il mito, in cui si diluiscono  e si accentuano asprezze e contraddizioni della contemporaneità.

Se Il volo a Kiev trascolora in un intenso sincretismo visivo ed uditivo, L’urlo delle sirene unisce il ricordo  di una esperienza dell’infanzia al  presente della tragedia attuale e al  passato dell’umanità, declinato dal titolo in un sottinteso Mito.

 Anche la cronaca politica si stempera nel mito, che accoglie, in un Tempo estraneo allo scorrere del tempo, le immagini e le voci del Grido di Antigone.

In Rivoluzione digitale e Intelligenza artificiale la più innovativa contemporaneità è figlia di Minerva; Mercurio la protegge e Circe minaccia la nostra indifesa umanità, caduta in trappola,  In rete. Sottesa è una dimensione ironica: i titoli sembrano  celare una spiazzata e spiazzante domanda di chi è  éiron,“colui che interroga, fingendo di non sapere”. Ma il poeta sa bene di cosa si tratta!

 Sino all’immagine conclusiva, sintesi di emozioni: La pace. Il pane, metafora di sentimento e di speranza, è immagine reale, antica, trasfusa nel mito di una pace che non è mai stata davvero vissuta nella sua intensità, se non come “assenza di guerra”.

Indiretto riferimento ad una mitica età dell’oro, che non c’è mai stata, ma di cui, forse, si possono captare ipotesi di impossibili vestigia nella creatività dell’arte che, in Roberto Mosi, si fa Immagine e  Poesia. "

         Firenze, marzo 2024                    Sonia Salsi                                                                                

 

 

                                                                                                                               

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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mercoledì 13 marzo 2024

"Aquiloni sull'Arno": lontani, lontani ricordi - Alla Società "Canottieri Firenze"


A Q U I L O N I  SULL’ A R N O

18 giugno 2010  –  Società “Canottieri Firenze”

POESIE E MUSICA

L’iniziativa è promossa dalla Società “Canottieri di Firenze”.       Fondata nel 1886, la Società è parte integrante del patrimonio culturale e sportivo della città. 

 

   POESIE

Le poesie sono tratte dal libro Aquiloni di Roberto Mosi (Ediz. Il Foglio, Piombino 2010; e-book: Ediz. www.larecherche.it, Libri Liberi). Si presenta una scelta di venti poesie raccolte intorno ai temi dell’“arrivo” della protagonista del libro, la piccola Marta, del gioco e del divertimento, della favola, il viaggio nella città con lo sguardo dei bambini. Leggono i testi Giulia Capone Braga, Roberto Mosi e Renato Simoni.

 

    MUSICA

    (a cura di Barbara Betti)

         RICERCARE

In Greco ETAZEIN (Ricercare, Esaminare) da ETYMOS-ETEOS che significa VERO, AUTENTICO.

 

   Questo termine indica principalmente un tema, un’idea primigenia, dalla quale si sviluppano rami ed elaborazioni sempre più ampie e virtuosistiche della radice primaria.

    Il Ricercare e le forme Cameristiche ad esso legate non sono molto noti al grande pubblico, ma senza il lavoro di preparazione e codificazione di queste forme di linguaggio, non sarebbe stato possibile il raggiungimento delle vette espressive di Mozart, Beethoven o Schubert.

   Allo stesso modo, il concetto poetico ed emotivo, nasce e si sviluppa da un imput primario per evolversi attraverso un percorso di impatti e reazioni intime che si muovono attraverso percorsi indipendenti, ma sempre legati dalla prima emozione ispiratrice.

 

PAROLE E MUSICA

 

    Quando ho letto Aquiloni la prima volta ho immediatamente avuto la sensazione di entrare in un diario.  Attraverso le pagine di Roberto Mosi ci ritroviamo a percorrere e guardare il cammino della sua vita, a percepire le sue emozioni ed entrare da ospiti nel suo privato.

     Marta sta per arrivare, ancora non c’è ma è già un tema esistente, un’idea primigenia che deve solo manifestarsi.

    Ecco perché il tema musicale della serata è basato sul “Ricercare”: il Ricercare è un’idea, un fondamento, un tema interiore ancestrale che prende vita da una voce primaria, sola, unica, che poi si svilupperà in un percorso sempre più elaborato e virtuosistico, modificandosi attraverso altre voci, colori, possibilità.

    Marta cresce e la vita si evolve in gioco, così come il Ricercare si amplierà prima con una, con due, poi a tre voci, passando dal tema del Ricercare per evolversi fino a diventare “Serenata” e “Divertimento.”

     I “Divertimenti” sono composizioni cameristiche spesso composte per occasioni speciali nell’ambito della vita di corte. In particolare, il “Divertimento” di Anton Albrechtsberger, con dedica “Per il Giorno del Compleanno”, fu composto e donato dall’autore nel 1768 alla Corte Viennese.

    In questa serata la musica non dovrà essere protagonista, sarà solamente la cornice del racconto e del viaggio nel quale Roberto Mosi ha voluto portarci.

    Citando da una lettera di Henry Eccles …”vi lascio una cornice di suono, si che vogliendo recordare il momento possiate imaginarlo recolto intro uno spazio che sola voi possiate contemplare nel modo a voi gradito”…

 

Musicisti: Barbara Betti: contrabbasso

                  Giacomo De Simonis: fagotto

                  Diego Rodriguez: viola


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“Aquiloni sull’Arno”, davanti al Ponte Vecchio

POESIA E MUSICA

Recital dal libro “Aquiloni” di Roberto Mosi

 

    Il recital “Aquiloni sull’Arno” è stato promosso dalla Società “Canottieri di Firenze” che ha le proprie strutture sulle rive dell’Arno, nei pressi del Ponte Vecchio. Fondata nel 1886, la Società è parte integrante del patrimonio culturale e sportivo della città.

    Davanti ad un numeroso pubblico, dopo i saluti del presidente, nell’ora del tramonto, ha avuto inizio il recital di poesie dal libro Aquiloni (editore il Foglio, Piombino 2010; in forma di e-book, editore www.larecherche.it 2010), legate  ai temi dell’“arrivo” della protagonista del libro, la piccola Marta, del gioco e del divertimento, della favola, della scoperta della città con gli occhi dei bambini. I testi sono stati letti da Giulia Capone Braga, Roberto Mosi e Renato Simoni.  Un trio ha accompagnato la lettura: Barbara Betti: contrabbasso, Giacomo De Simonis: fagotto, Diego Rodriguez: viola.

    Un vero e proprio progetto, ideato da Barbara Betti, ha caratterizzato la parte musicale, fondato sul tema del ricercare (in Greco ETAZEIN (Ricercare, Esaminare) da ETYMOS-ETEOS che significa VERO, AUTENTICO). Agli spettatori è stato spiegato come il termine ricercare indica un tema, un’idea primigenia, dalla quale si sviluppano rami ed elaborazioni sempre più ampie e virtuosistiche della radice primaria. “Il Ricercare e le forme Cameristiche ad esso legate non sono molto noti al grande pubblico, ma senza il lavoro di preparazione e codificazione di queste forme di linguaggio, non sarebbe stato possibile il raggiungimento delle vette espressive di Mozart, Beethoven o Schubert. “

    Barbara Betti ha dettto che “quando ho letto “Aquiloni” la prima volta ho immediatamente avuto la sensazione di entrare in un diario.  Attraverso le pagine di Roberto Mosi ci ritroviamo a percorrere e guardare il cammino della sua vita, a percepire le sue emozioni ed entrare da ospiti nel suo privato. Marta sta per arrivare, ancora non c’è ma è già un tema esistente, un’idea primigenia che deve solo manifestarsi. Ecco perché il tema musicale della serata è basato sul “Ricercare”: il Ricercare è un’idea, un fondamento, un tema interiore ancestrale che prende vita da una voce primaria, sola, unica, che poi si svilupperà in un percorso sempre più elaborato e virtuosistico, modificandosi attraverso altre voci, colori, possibilità.

    Marta cresce e la vita si evolve in gioco, così come il Ricercare si amplierà prima con una, con due, poi a tre voci, passando dal tema del Ricercare per evolversi fino a diventare “Serenata” e “Divertimento.” I “Divertimenti” sono composizioni cameristiche spesso composte per occasioni speciali nell’ambito della vita di corte. In particolare, il “Divertimento” di Anton Albrechtsberger, con dedica “Per il Giorno del Compleanno”, fu composto e donato dall’autore nel 1768 alla Corte Viennese. In questa serata la musica non dovrà essere protagonista, sarà solamente la cornice del racconto e del viaggio nel quale Roberto Mosi ha voluto portarci.

Citando da una lettera di Henry Eccles …”vi lascio una cornice di suono, si che vogliendo recordare il momento possiate imaginarlo recolto intro uno spazio che solo voi possiate contemplare nel modo a voi gradito”…

    Alla fine del recital è rimasta viva negli spettatori questa cornice viva di suono, mentre gli ultimi raggi del sole si affacciavano sotto le arcate del Ponte Vecchio e, poco oltre, del Ponte a Santa Trinita.